00 10/03/2016 21:52
Era l'11 aprile del 2008. Era un venerdì, ma non un venerdì qualsiasi: era l’ultimo giorno di campagna elettorale. Tre giorni dopo Silvio Berlusconi avrebbe vinto le elezioni politiche per la terza volta. Quella sera, durante un dibattito in diretta Tv, l’ex cavaliere annunciò l’abolizione del bollo auto, la tassa più odiata dagli italiani. L'operazione avrebbe dovuto concretizzarsi, così disse, entro metà legislatura, cioè entro l’autunno del 2010. Un bel colpo di teatro, non c’è che dire. Peccato che, come quasi sempre accade dalle nostre parti, quella promessa non sia mai stata mantenuta.

Del resto non era la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima, che l’ipotesi di riformare o eliminare l’odiosa tassa automobilistica faceva capolino. Prima a occuparsene fu Quattroruote, con la duplice, anzi la triplice battaglia condotta dal nostro fondatore, Gianni Mazzocchi, tra il 1967 e il 1970. La prima per l’abolizione tout-court della tassa. Poi , consapevole che lo Stato non avrebbe potuto rinunciare al tesoretto che gli garantiva il bollo, Mazzocchi chiese dapprima di riformarne il sistema di calcolo, un’astruso meccanismo basato sui cavalli fiscali, un’invenzione italiana del 1927 ispirata alle caratteristiche di una vettura del 1912, la Fiat Zero, che teneva conto del numero di cilindri e della cilindrata unitaria (!); in seguito propose di sostituire il bollo con un’addizionale sulla benzina, una soluzione che avrebbe eliminato l’evasione e le code agli sportelli, che avrebbe fatto risparmiare lo stato tagliando fuori l’allora gestore della riscossione e che avrebbe introdotto un principio di equità (più strada fai, più consumi, più paghi) e un meccanismo virtuoso (un oggettivo incentivo a risparmiare carburante). Inutile dire che non se ne fece nulla.

A un certo punto, erano gli anni 90, in parlamento spuntò addirittura l’ipotesi di legare il bollo all’Rc auto. In pratica si pensò che si poteva abolire la tassa compensandola con un aumento dell’imposta sull’assicurazione. Una riforma che avrebbe eliminato un’incombenza ma certamente non l’evasione né avrebbe introdotto un principio di equità.

Adesso pare che abbia intenzione di riprovarci il governo Renzi. Secondo alcune indiscrezioni la tassa automobilistica sarebbe nel mirino del presidente del consiglio, che nella prospettiva della fine della legislatura (primavera del 2018) vorrebbe ripetere l’operazione Imu prima casa. C'è un problema: il gettito del bollo non va allo Stato, bensì alle regioni. In totale si tratta di quasi 6 miliardi di euro, un buco che le autonomie non possono permettersi, nemmeno concedendo loro più ampi margini d'intervento sull'addizionale Irpef (che nel 2015 ha prodotto un gettito di 11,3 miliardi di euro). E che quindi lo Stato, nel caso in cui il governo decidesse di intervenire in questa direzione, dovrebbe compensare drenando risorse da qualche altra parte per poi girarle alle regioni.

Insomma, il percorso verso l’abolizione della tassa appare irto di difficoltà (in questi anni non si è nemmeno riusciti ad abolire l'ormai inutile, in termini di gettito, superbollo...). Più facile, semmai, immaginare una riforma all’insegna dell’equità come quella dell'addizionale sui carburanti immaginata da Gianni Mazzocchi.

Un intervento, comunque, appare necessario, visto che l’ultima riforma, quella del 2006 che introdusse una (minima) progressività della tassa in funzione della classe di emissioni, parte dall’Euro 4. Nel frattempo sono arrivate l’Euro 5 e l’Euro6, ma il legislatore, fortunatamente, non se n’è accorto.




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